Il Karate da noi praticato ha delle origini
nell'Ottocento; tutto nacque da una piccola isoletta dell'arcipelago delle Ryūkyū:
Okinawa. L'isola al tempo era ancora indipendente ed era anche uno dei più grandi
centri di scambio con la Cina, sarà proprio da questi scambi che il "To-de"
(arte marziale tipica dell'isola) e le arti marziali cinesi si fusero. Questo è infatti
il motivo per il quale un altro modo di tradurre la parola karate è "mano cinese".
All'interno dell'isola nacquero 3 diversi stili:
Shuri-te
Naha-te
Tomari-te
Fu Anko Itosu (1830-1915) a insegnarlo per la prima volta nel 1901 in una scuola elementare e,
in seguito, nel 1902 la sua pratica fu introdotta durante le ore di educazione fisica.
Con l'obiettivo di diffonderlo in tutto il Giappone, Itosu scrisse I dieci precetti del Tode.
Arriviamo al 1922, il Maestro Gichin Funakoshi, allievo dei Maestri Asato e Itosu , venne invitato dal Ministero dell'Istruzione, della Cultura, dello Sport, della Scienza e della Tecnologia
a tenere uno esibizione di karate a Tokyo. Questa fu la prima manifestazione pubblica dell'arte marziale
fuori da Okinawa. Il pubblico, soprattutto studenti universitari, ne rimase enormemente colpito. Il
Maestro Funakoshi, dato l'incredibile successo del karate, decise di restare a Tokyo e insegnare. Da allora, altri
maestri di karate sono arrivati nel Giappone centrale da Okinawa per diffondere il loro sapere.
Con la diffussione del karate in tutto l'arcipelago giapponese nacquero nuovi stili, ognuno
basato su tecniche e kata che facevano capo a quelli originali di Okinawa; tutt'ora, dato il loro elevato
numero, il WKF (World Karate Federation) ne riconosce solo 4 degli oltre 30 esistenti:
Shotokan, Goju-Ryu, Wado-Ryu e Shito-Ryu. Da ricordare è inoltre lo stile di karate full-contact
Kyokushin il quale fonde gli stili Goju-Ryu e Shotokan per creare uno alla cui base vi è
l'estremo condizionamento fisico a cui sono sottoposti i praticanti.
E in Italia?
il karate sbarcò in Italia nel 1965 tramite i maestri Taiji Kase e Hiroshi Shirai i quali portarono
con loro lo stile praticato dallo stesso Funakoshi, cioè, lo Shotokan; nonchè lo stile insegnato da
noi.
Lo Shotokan era lo stile praticato e fondato dal maestro Funakoshi. il nome deriva da Shoto, significa
"brezza nella pineta" (o più precisamente "onda di pino") ed era lo pseudonimo che il
maestro utilizzava per firmare le sue poesie ed i suoi scritti. La parola
giapponese Kan significa invece "sala" ed è riferita al dojo. In onore del loro maestro,
gli allievi di Funakoshi crearono un cartello con la scritta Shoto-kan che posero sopra
l'ingresso del dojo in cui egli insegnava, difatti il maestro non diede mai
un nome al suo stile, definendolo semplicemente "karate", o karate-dō("via del karate").
la filosofia del karate Shotokan è racchiusa nello Shoto Niju Kun, cioè i 20
principi guida di Funakoshi:
Non dimenticare che il karate-dō comincia e finisce con il saluto.
Nel karate non esiste primo attacco.
Il karate è dalla parte della giustizia.
Conosci prima te stesso, poi gli altri.
Lo spirito viene prima della tecnica.
Libera la mente.
La disattenzione è causa di disgrazia.
Il karate non si vive solo nel dōjō.
Il karate si pratica tutta la vita.
Applica il karate a tutte le cose, lì è la sua ineffabile bellezza.
Il karate è come l'acqua calda, occorre riscaldarla costantemente o si raffredda.
Non pensare a vincere, pensa piuttosto a non perdere.
Cambia in funzione del tuo avversario.
Nel kumite devi saper padroneggiare il Pieno e il Vuoto.
Considera mani e piedi come spade.
Oltre la porta di casa, puoi trovarti di fronte anche un milione di nemici.
La guardia è per i principianti; più avanti si torna alla posizione naturale.
I kata vanno eseguiti correttamente; il kumite è altra cosa.
Non dimenticare dove occorre usare o non usare la forza, rilassare o contrarre, applicare la lentezza o la velocità, in ogni tecnica.
Sii sempre creativo.
A questi venne poi aggiunto il Dōjō Kun, cioè le regole del dojo:
Hitotsu, Jinkaku Kansei ni Tsutomuru Koto - Prima di tutto, cerca di perfezionare il carattere.
Hitotsu, Makoto no Michi wo Mamoru Koto - Prima di tutt o, percorri la via della sincerità
Hitotsu, Doryoku no Seishin wo Yashinau Koto - Prima di tutto, rafforza instancabilmente lo spirito
Hitotsu, Reigi wo Omonzuru Koto - Prima di tutto, osserva un comportamento impeccabile
Hitotsu, Kekki no Yu wo Imashimuru Koto - Prima di tutto, astieniti dalla violenza e acquisisci l'autocontrollo
Tutt'ora il Dōjō Kun viene recitato alla fine di lezioni e stage molto importanti, proprio
per ribadire l'attaccamento alla tradizione.
I tre pilastri dello Shotokan
Lo Shotokan pone le sue basi su 3 grandi pilastri fondamentali: Kihon, Kata e Kumite.
Kihon
Kihon significa proprio "Base" o "Fondamentale" ed è ciò da cui inizia ogni karateka. nel kihon
si ha un vero e proprio studio delle tecniche, dalla più semplice alla più complessa.
Qui si ha la prima differenziazione tra gli stili: ogni stile ha un suo kihon con sue tecniche, velocità e
spostamenti. Perchè è importante il kihon? In Giappone la società pone molta attenzione alle basi: da buone radici
nasce un albero buono, se le radici non sono ben ancorate l'albero cade. I kihon variano a seconda della cintura, più
questa diventa scura e più il kihon diventa tecnicamente avanzato.
solo grazie al kihon il karateka inizia a prender coscienza delle proprie "armi" e del proprio corpo sviluppando
resistenza e forza, la quale si tramuta nel Kime nonchè la concentrazione della massima potenza in un punto per
conferire ad ogni tecnica la massima incisività ed efficacia.
Kata
Kata viene tradotto come "Forma". In esso si concentrano anni e anni di sapere che i maestri che li
inventarono hanno cercato di tramandare, difatti nei kata è racchiusa la vera essenza dello stile che si pratica.
Tramite di essi il karateka riesce a sviluppare velocità, il controllo, la respirazione, il ritmo, la coordinazione,
la concentrazione che il praticante deve usare per perfezionare la forma e le tecniche stesse. Anche se ad un primo impatto
il kata possa sembrare una serie di mosse coreografiche, scavando a fondo possiamo carpire l'essenza degli stessi:
un combattimento con più avversari che attaccano da più direzioni. I kata nello Shotokan sono svariati e di difficoltà
crescente, basti pensare a kata come Unsu che ha avvitamenti aerei incredibili
Tratti distintivi dei kata sono i Kiai, i famosissimi "urli", nel momento dell'esecuzione degli stessi il karateka
esprime tutto il suo spirito combattivo raggiungendo così uno stato di concentrazione massima; in aggiunta per tutto il
kata bisogna applicare il concetto di Zanshin, esso è lo stato di concentrazione assoluta e di perenne allerta che bisogna
tenere dal saluto iniziale a quello finale del kata.
Kumite
"I kata vanno eseguiti correttamente; il kumite è altra cosa." in questo punto del Niju Kun viene riassunta l'essenza stessa
del kumite. Nel kumite, che tradotto significa "combattimento, non c'è sempre una forma, difatti l'ultimo stadio del combattimento è il "jiyu kumite"(cioè un
kumite non dichiarato, "libero"). Prima di arrivare qui il karateka intrapende uno studio approfondito delle
tecniche, successivamente si incrementano forza e velocità ed infine la distanza; per favorire questo processo
inizialmente i combattimenti sono dichiarati, il che vale a dire che prima di tirare un colpo questo viene dichiarato
per permettere, in particolar modo al principiante, di poter capire la giusta parata e la distanza adeguata alla quale
doversi trovare per difendere correttamente la tecnica. Tradizionalmente il kumite viene eseguito senza protezioni
e proprio per questo motivo la base di ogni combattimento è l'autocontrollo, bisogna riuscire a sferrare il colpo con
massima velocità e precisione senza però andare ad intaccare l'integrità fisica dell'avversario. A livello di gare vengono
utilizzate diverse protezioni per garantire che nessuno dei due atleti si faccia male.